Il trasformatore

/Data
7.12.2020

/Titolo
Il trasformatore

/Autore
Annalisa Magone

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/Tag
governance, innovazione sociale, no profit, terzo settore

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Quando una impresa, di qualsiasi tipo o settore, si mette in moto per innovare, al centro del meccanismo c’è sempre un trasformatore.

Può essere un dipartimento, una struttura interna, ma il più delle volte – data anche la dimensione della tipica impresa italiana – si tratta di una persona in carne e ossa. È certamente istruita, di solito un ingegnere con varie specializzazioni, raramente è una donna [ n.d.a. 🙁 ], ha un’età di mezzo, abbastanza da incarnare la filosofia aziendale interpretandone i valori, ma non troppo da rimanerne invischiata. Insomma, qualcuno che sa portare avanti la macchina del cambiamento senza strappare. Questo trasformatore si occupa di processi e lavora in squadra, è creativo ma pragmatico, un facilitatore, e il suo compito è far accadere le cose. Sa di avere un incarico importante, si tratta di un incarico che riguarda la competitività dell’azienda e spesso va oltre ciò che lo stesso imprenditore, anche il più visionario, immagina. Al centro del crogiuolo di forze tecnologiche, sociali e di business che si ricombinano nel campo della trasformazione industriale, c’è un trasformatore di aziende e dunque un trasformatore di uomini.

Ma per quanto dotato di grandi qualità, il trasformatore non potrebbe nulla senza l’appoggio di chi l’impresa ha il compito di tenerla viva e, se possibile, renderla florida. Qui entriamo nel campo in cui proprietà e management si incontrano, definiscono un progetto e cercano una forma adatta a realizzarlo. Entriamo nel campo della governance.

A questo argomento – la ricerca del giusto formato per il giusto progetto industriale – è stato dedicato il talk For profit / No profit. Nuovi modelli di governance per le imprese organizzato da Atelier Impresa Ibrida. A confronto sono state messe cinque personalità con poco in comune:

  • Michele Alessi, oggi presidente della Fondazione Buon Lavoro, ieri Ad della Alessi, che ha avviato la Fondazione il giorno stesso in cui ha chiuso la propria attività nell’azienda di famiglia;
  • Erasmo D’Onofrio, direttore generale della Cooperativa Fonderia Dante, nata nel 2017 con un Workers Buyout dalle ceneri delle fonderie interne alla Ferroli, dove si producevano i basamenti in ghisa per le caldaie;
  • Fabio Gerosa, presidente di Fratello Sole Energie Solidali, l’impresa sociale ESCO che si occupa di riconversione energetica degli edifici insieme a Iren Energia, rappresentata dall’amministratore delegato Giuseppe Bergesio;
  • Infine Monsignor Matteo Maria Zuppi, Cardinale, Arcivescovo di Bologna e proprietario (pro tempore) della FAAC, la fabbrica di cancelli elettrificati interamente posseduta dalla Diocesi di Bologna – quella del celebre spot pubblicitario che negli anni ’80 mostrava un maestoso leone a far la guardia a un cancello.

Testimoni chiave di altrettante storie imprenditoriali, accomunate più dalla loro diversità… per meglio dire, dalla ricerca di una forma di governance che, attraverso soluzioni inconsuete, ben si adatti al progetto imprenditoriale e al ruolo che l’impresa attribuisce a se stessa nel rapporto con la società. Del resto, la spinta a rintracciare regolarità, similarità, elementi replicabili è uno strumento per studiosi che devono classificare per poter spiegare i fatti. In realtà, ogni impresa fa caso a sé, è un organismo che vive a suo modo il ciclo di nascita, sviluppo e inevitabile invecchiamento. Nella ricerca del punto in cui piantare il chiodo del progetto di sviluppo, si sta progressivamente inserendo anche il rapporto fra imprese for profit e imprese non profit, con tutte le ambivalenze di questa distinzione.

Perché alla fine, quando si scende dalla rappresentazione generale dei problemi alla pratica, si trova il caso di un’impresa di cancelli che distribuisce utili alla Diocesi, la quale li impiega in opere di carità. Oppure il caso di 62 operai siderurgici che, quando si comunica loro la liquidazione della fonderia non ci stanno, cercano aiuto, vengono accompagnati anche dal sindacato e dalla Legacoop, e una mattina di luglio diventano soci della fonderia dove hanno sempre lavorato da dipendenti. Sono chiamati a capire, non più a ubbidire.

Ma anche il caso di un consorzio di organizzazioni sociali di matrice religiosa, detentore di uno sterminato patrimonio immobiliare da gestire e ammodernare, che decide di intervenire in modo strutturato e cerca un partner industriale e finanziario con la dimensione adeguata al compito. Lo trova e costituisce una società che tiene insieme un piccolo ente non profit con un’azienda quotata in Borsa, e nel primo anno di attività mettono in cantiere progetti di riqualificazione ecologica per 8 milioni di euro.

Non ultimo, il caso di una Fondazione nata dalla visione di un uomo, che come prima attività concreta cerca una soluzione occupazionale per 80 esuberi, sapendo che il lavoro non è soltanto una essenziale fonte di reddito, ma anche una irrinunciabile fonte di realizzazione personale.

Storie disparate, quindi, senza nessun punto in comune? A me pare che ciò che le accomuna, nella loro trasformazione, sia l’originalità della ricerca o per meglio dire l’attitudine ad uscire dai paradigmi.

Perché un lavoratore che perde il posto può cercarne un altro per sé, ma nel nostro caso diviene imprenditore e lavora non soltanto per proprio il salario, ma per dare una prospettiva a molte più persone (alle Fonderie Dante, questo dicembre lavorano 125 persone). Una Diocesi che eredita un bene, può liquidarlo e tenere una rendita in banca per i tempi di magra, ma nella storia della FAAC invece decide che quel bene può fruttare. La parrocchia, la scuola, la casa di cura che rompe la caldaia può sostituirla e lasciare tutto com’è, oppure può incontrare sulla propria strada chi le propone un progetto di riconversione ecologica, risolvere un problema contingente mentre guarda al futuro dell’energia. Infine, l’azienda che licenzia può lasciare ad altri la gestione delle conseguenze sociali, oppure può dare il suo contributo a un percorso di rinascita.

Il trasformatore è una macchina elettrica statica, e in quanto macchina è reversibile poiché serve per variare (trasformare) tensione e intensità di corrente da una rete primaria ad una secondaria, mantenendo sostanzialmente costante la potenza elettrica apparente. Il trasformatore trasferisce energia elettrica da un circuito elettrico a un altro, accoppiati induttivamente, senza che siano a contatto tra loro gli avvolgimenti del trasformatore.
Il rendimento di un trasformatore è molto alto e le perdite sono molto basse. I trasformatori sono disponibili in una vasta gamma di dimensioni, da quello grande come l’unghia del pollice, situato all’interno di un microfono da scena, alle unità di centinaia di tonnellate, utilizzate per interconnettere porzioni di reti elettriche nazionali. Tutti funzionano mediante gli stessi principi basilari.
Sebbene nuove tecnologie ne abbiano rimosso l’esigenza in alcuni circuiti elettronici, i trasformatori sono ancora presenti in quasi tutti i dispositivi che utilizzano le tensioni fornite delle reti di distribuzione per alimentare gli ambienti domestici e sono essenziali per la trasmissione di energia a grande distanza.
Il nuovo simbolo del trasformatore è composto da due cerchi con intersezione.
(Wikipedia)


For profit / No profit è stato il sesto evento online del ciclo Futuro Prossimo organizzato da Atelier Impresa Ibrida. Per scoprire e partecipare ai prossimi live digital talk, segui i canali social di Atelier anche su Facebook, Instagram e YouTube.