Giuseppe Costa

/Data
1/2017

/Titolo
Equità nella salute e disuguaglianze in Italia

/Autore
Giuseppe Costa

/Risorse
• La versione originale di questo articolo è apparsa sul periodico Formazione Domani (1/2017)
• Torinonordovest e il Servizio di Epidemiologia del Piemonte hanno co-progettato l’atelier Mndmap (2016-2017)
• Il sito disuguaglianzedisalute.it

/Tag
diseguaglianze, piemonte, salute, welfare

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Il tema dei determinanti sociali di salute è diventato prioritario nell’agenda europea degli ultimi dieci anni e l’Italia ne ha recepito l’importanza in due atti di indirizzo importanti per la programmazione sanitaria: il finanziamento vincolato agli obiettivi di Piano Sanitario Nazionale e la proposta di un nuovo Piano Nazionale di Prevenzione. Questi due atti di programmazione stimolano il Ministero e le Regioni a chiedersi cosa può fare il Servizio Sanitario Nazionale per ridurre le disuguaglianze di salute.
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Equità nella salute e disuguaglianze in Italia

Povertà materiale e povertà di reti di aiuto, disoccupazione, lavoro poco qualificato, basso titolo di studio sono tutti fattori, spesso correlati, che minacciano la salute degli individui. Numerosi studi pubblicati negli ultimi 20 anni hanno dimostrato che in tutta Europa i cittadini in condizioni di svantaggio sociale tendono ad ammalarsi di più, a guarire di meno, a perdere autosufficienza, ad essere meno soddisfatti della propria salute e a morire prima. Mano a mano che si risale lungo la scala sociale questi stessi indicatori di salute migliorano secondo quella che viene chiamata la legge del gradiente sociale.

Ad esempio, tra gli uomini in Italia negli anni Duemila si osservano più di cinque anni di svantaggio nella speranza di vita tra chi è rimasto in una posizione di operaio non qualificato rispetto a chi è approdato ad una posizione di dirigente, con aspettative di vita progressivamente crescenti salendo lungo la scala sociale.


Da un punto di vista geografico in Europa si osservano disuguaglianze più moderate nei paesi mediterranei, intermedie nell’Europa continentale e del nord e molto più intense nell’Europa dell’est; mentre in Italia esse sono più intense nelle regioni del sud che in quelle del nord. Disuguaglianze di salute variabili nel tempo e nello spazio ci dicono che c’è qualcuno che ha saputo far meglio di qualcun altro, cioè che sono evitabili.


Se in Italia come negli altri paesi europei con un colpo di bacchetta magica si potessero eliminare le disuguaglianze di mortalità tra le persone più istruite e quelle meno istruite si stima che si verificherebbe un possibile risparmio di più del 25% delle morti tra gli uomini e più del 10% tra le donne, la stessa cosa capita tra ricchi e poveri o tra operai e dirigenti. Si tratta, a parte ovviamente l’età, del singolo fattore che da solo spiega di più le variazioni di salute nella popolazione.

Se si potesse intervenire sui meccanismi che le generano fino ad eliminarle si otterrebbero notevoli miglioramenti di salute, ad esempio riduzioni della mortalità che arrivano fino al 50% tra i giovani adulti maschi.

Dove nascono e come si possono contrastare le disuguaglianze di salute?

La salute è un bene sociale la cui tutela non dovrebbe dipendere unicamente dal servizio sanitario, ma dall’impegno di tutti i settori che possono avere un impatto sulla distribuzione dei determinanti del benessere della comunità. Per ridurre le conseguenze delle disuguaglianze sociali sulla salute occorre intervenire con azioni e politiche, sanitarie e non, capaci di interrompere i vari meccanismi che le innescano.

Sono quattro i meccanismi principali di origine delle disuguaglianze di salute che possono essere intercettati:

  • Il contesto economico e sociale e le politiche di sviluppo e welfare: dalla posizione sociale dipende il controllo della persona sulla propria vita, garantita da determinanti sociali, risorse materiali, di status e di aiuto che servono a condurre una vita dignitosa e corrispondente alle aspettative.
  • La posizione sociale influenza la probabilità di essere esposto ai principali fattori di salute fisica e mentale, tra i quali i fattori di rischio dell’ambiente sociale e fisico; i fattori di rischio psicosociali (squilibrio tra ciò che si esige da una persona e il grado di controllo, remunerazione e supporto che deriva dalle condizioni di vita quotidiana); gli stili di vita insalubri (fumo, alcool, obesità, inattività fisica, sesso non protetto); le limitazioni all’accesso alle cure.
  • La posizione sociale influenza anche la vulnerabilità agli effetti sfavorevoli sulla salute dei fattori di rischio; in molti casi le persone di bassa posizione sociale manifestano effetti sfavorevoli più severi di quanto non succeda alle persone di alta posizione sociale.
  • I gruppi più svantaggiati hanno meno risorse per far fronte o prevenire le conseguenze sociali dell’esperienza di malattia (si pensi al rischio di impoverimento per le spese sanitarie o di difficoltà di carriera lavorativa in presenza di una malattia propria o di un familiare).

Questi quattro meccanismi rappresentano però altrettante opportunità per buone politiche e azioni di contrasto e moderazione, sapendo che buone pratiche vengono da altri paesi, come il Regno Unito, dove negli ultimi quindici anni sono stati sviluppati programmi esplicitamente orientati al contrasto delle disuguaglianze di salute. Guardando all’Italia, l’intensità e l’ampiezza delle disuguaglianze di salute appare meno severa rispetto al resto d’Europa, nonostante tutte le statistiche indichino il paese al vertice della graduatoria delle disuguaglianze sociali nella ricchezza (subito dopo il Regno Unito). In realtà in Italia si verifica un (benefico) ritardo nella diffusione di tre importanti curve epidemiche pericolose per la salute dei poveri: quella del fumo tra le donne povere e del sud, quella della diffusione di abitudini alimentari scorrette tra i poveri, e quella della crescita delle famiglie monogenitoriali con figli dipendenti tra le donne povere.

Va inoltre detto che, oltre alla scuola, il Servizio Sanitario Nazionale è l’unico grande presidio sociale distribuito in modo universalistico nel paese, ed è stato capace di trasferire i benefici della medicina in tutti gli strati sociali senza importanti distinzioni di diritto nell’accesso (salvo i margini di miglioramento soprattutto nella qualità e appropriatezza). È tuttavia possibile che questa “resilienza” italiana alle disuguaglianze venga meno a causa della crisi, spinta dalla disoccupazione, dall’impoverimento delle famiglie e dalle misure di austerità?

Nonostante la situazione più favorevole dell’Italia, rispetto agli altri paesi, in tema di disuguaglianze sociali nella salute faccia leva sulla capacità protettiva che hanno alcune risorse tipiche del paese, come la dieta mediterranea, il sostegno della rete familiare, il ruolo del servizio sanitario nazionale, i determinanti sociali di salute rappresentano un bersaglio importante per guadagnare salute, migliorare il capitale umano del paese e diminuire la pressione sul fabbisogno di assistenza.

Alcune categorie di professionisti sanitari hanno già mostrato sensibilità ai temi delle disuguaglianze di salute, ma molto rimane da fare tramite la formazione di base, specialistica e continua, per farne degli “alleati” nel miglioramento dell’equità nei vari snodi del funzionamento dell’assistenza sanitaria, e degli “avvocati” sui temi dell’equità nella salute nel resto della società.

Chi è Giuseppe Costa

Giuseppe Costa, medico, insegna all’Università di Torino. Esperto di epidemiologia occupazionale e ambientale, disuguaglianze nella salute, programmazione sanitaria, è coordinatore scientifico di programmi di ricerca per il contrasto alle diseguaglianze nella salute e nell’assistenza sanitaria a livello piemontese, nazionale ed europeo.