86.000 imprese, 215.000 lavoratori

/Data
1/2012

/Titolo
86.000 imprese, 215.000 lavoratori

/Autore
Annalisa Magone

/Risorse
• La scheda
• La ricerca
• Il workshop di presentazione
• L'intervista a Mauro Magatti


/Tag
lavoro, salute, servizi, welfare

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Centro commerciale 8 Gallery, Lingotto, Torino.

Quello che fu il primo stabilimento Fiat organizzato secondo i principi del taylorismo, inaugurato nei primi decenni del secolo passato e definitivamente dismesso negli anni ottanta, è stato oggetto di ristrutturazioni e modifiche che ne hanno ridisegnato il volto in ragione della nuova vocazione terziaria. Sono stati ricavati un centro esposizioni, un centro congressi, un auditorium, una pinacoteca, un cinema multisala, un centro servizi e vari uffici direzionali e, dal 2002, una delle sedi del Politecnico di Torino. Ma il Lingotto è anche un centro commerciale, con decine di negozi, bar e ristoranti, supermercati.

La trasformazione terziaria dell’economia è questo: servizi avanzati alle imprese, ICT, arte e cultura; ma anche catene commerciali, franchising, negozi e bar con un esercito di commesse, cassieri, baristi. E ancora, maschere di sala, guardarobiere, addetti alla biglietteria, addetti alle pulizie, sorveglianti. Cuochi, addetti alle mense, badanti, colf. Delle eccellenze della società della conoscenza molto si è scritto, dell’altro terziario molto meno. Sono quest’assenza, questo deficit di rappresentazione a fornire lo spunto per una indagine sui lavoratori del terziario non avanzato, gli “operai del terziario”, insieme vasto di lavoratori di norma con livelli d’istruzione medio-bassi, che operano nei servizi alle persone e alle imprese. Con tale definizione, intenzionalmente ambigua, si vuole sottolineare la persistenza di una “operaietà” anche nella produzione terziaria metropolitana, almeno laddove questa si riferisce ai settori dove sono prevalenti nelle prestazioni di lavoro attività esecutive manuali ed eterodirette.

Quanto pesa il terziario non avanzato nella struttura produttiva e occupazionale della provincia di Torino?

Tra il 1971 e il 2001, la città ha dimezzato il suo esercito industriale e oggi i tre quarti del valore aggiunto provinciale sono creati dal settore dei servizi. Una grande trasformazione del mondo produttivo ha modificato in profondità la composizione sociale del lavoro metropolitano. La terziarizzazione in apparenza è stata accompagnata da una progressiva qualificazione del lavoro (passato in trent’anni dal 30 al 42% sul totale occupati), tuttavia il mercato del lavoro urbano non è composto esclusivamente da tecnici qualificati e professional. Le previsioni di assunzione manifestate dagli imprenditori mostrano infatti che i profili più richiesti (a Torino come nelle maggiori città) rientrano nel livello intermedio e che il lavoro non qualificato assorbe ancora il 30% circa della domanda totale nel settore privato.

La transizione terziaria dell’economia è stata descritta ricorrendo a molte categorie: post-fordismo, economia della conoscenza, new economy, specializzazione flessibile. Molte di queste immagini hanno comunicato l’idea della transizione a una società di ceti medi, affrancata dalle mansioni poco qualificate, faticose e manuali, tendenzialmente delocalizzate altrove. Questo almeno fino alla nuova grande crisi, che ha fatto riscoprire una “questione sociale” che interessa tantissimi lavoratori. In realtà la metamorfosi produttiva degli anni ottanta, novanta e duemila, non ha cancellato la presenza della manifattura – tutt’altro che marginale nell’economia del territorio torinese – ed ha generato tanti “terziari”: dalle attività immateriali ad alta qualificazione ai lavori a bassa o nulla qualificazione, dalle attività di servizio alla produzione manifatturiera tradizionale ai servizi alla persona.

Economia della conoscenza e terziario povero sono due facce della stessa medaglia, perché la produzione contemporanea continua a richiedere lavoratori poco qualificati fondamentali per la stessa sopravvivenza delle attività ad alto contenuto di conoscenza.

La filiera logistica richiede lo sviluppo di sofisticati sistemi di supply chain management come l’utilizzo di carrellisti; per ogni manager impegnato a fare girare milioni di euro tra gli hub finanziari del pianeta, c’è un pony express che gli consegna la pizza a domicilio. Ammesso che sia lecito riferirsi alla produzione contemporanea nelle metropoli come ad un’economia fondata sulla conoscenza, questa ha il suo principale tratto distintivo nella tendenza per cui a quasi tutti i lavoratori è richiesto di mobilitare attitudini personali e mettere in gioco capacità cognitive e relazionali: ciò non vale solo nei reparti di R&S delle grandi imprese, ma anche nei supermercati, nei pubblici esercizi, nei call center, nelle attività di trasporto, nel lavoro di cura.

Obiettivo dell’indagine di Torinonordovest, sostenuta dal contributo di Cgil Torino, Cisl Torino, Uil Torino e Piemonte e Unipol Assicurazioni, è restituire una prima panoramica del lavoro terziario esterno ai settori più qualificati che possono costituire, con tutte le discontinuità e le differenze del caso, gli eredi dei blue collar industriali del fordismo.

/bibliografia essenziale
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  • Coop/Demos & PI, Osservatorio sul capitale sociale, www.demos.it/osservatorio